La giustizia civile italiana oggi, tra miti e realtà

La giustizia civile italiana oggi, tra miti e realtà
19 Dicembre 2016: La giustizia civile italiana oggi, tra miti e realtà 19 Dicembre 2016

Per più di mezzo secolo le sorti della giustizia civile in Italia non sembravano interessare a nessuno. Da un decennio a questa parte, invece, uno stuolo di medici delle più diverse specialità sono stati convocati al capezzale di quello che ci si è improvvisamente accorti essere un malato grave. Nell’era della globalizzazione il confronto con i sistemi giudiziari “concorrenti”, quelli degli altri Paesi più industrializzati, è subito apparso impietoso. Associazioni imprenditoriali, giornalisti, opinionisti, economisti ed altri ancora si sono prodigati nel diagnosticare la malattia e proporne le cure, trovando spazio nelle prime pagine dei quotidiani, nei titoli dei telegiornali e nei talk show. Ed ancora non passa giorno che in Italia non si scovino nuovi cultori del processo civile e dei suoi problemi, primo fra tutti la sua lentezza. Peraltro, chi conosce bene il nostro paese non si stupirà del fatto che a questo consulto nazionale non siano stati invitati coloro che per professione visitano quotidianamente il paziente, e cioè magistrati ed avvocati. La conseguenza di questo singolare approccio clinico e della tambureggiante insistenza dei mass media sull’argomento è che l’opinione degli italiani sul processo civile è oggi assai distante dalla sua realtà. In pochi anni, infatti, il numero e la durata delle cause civili nel nostro Paese sono drasticamente diminuiti, seguendo una tendenza ormai consolidata. Per rendersene conto basta consultare i dati ministeriali sul numero dei processi civili iscritti a ruolo negli ultimi anni e sulla loro durata. Chi scrive può testimoniare come in alcuni Tribunali il contenzioso civile in ingresso sia letteralmente crollato. Questo fenomeno si può cogliere con immediatezza consultando i dati raccolti nei rapporti del CEPEJ (l’European Commission for the Efficiency of Justice del Consiglio d’Europa), dai quali si apprende che la giustizia civile italiana sta rapidamente accorciando le distanze rispetto agli altri sistemi giudiziari europei. Se nel 2012 una causa di primo grado in Italia durava 590 giorni, nel 2014 la sua pendenza si era ridotta a 532, e nel primo semestre del 2015 a 427, mentre le proiezioni effettuate per il 2016 indicano un’ulteriore, importante diminuzione a soli 367 giorni (contro 348 in Francia e 318 in Spagna). Del resto, nel 2014 il rapporto tra cause definite in primo grado e cause introitate (il cosiddetto “indice di ricambio”) è stato del 119%, dato che, per ovvi motivi, è destinato ad incrementarsi negli anni successivi. Non è difficile quindi prevedere un “allineamento” del nostro paese alle medie europee nel volgere di un paio d’anni anni. Insomma, l’agognato obiettivo di restituire “competitività” alla nostra giustizia civile, sul piano internazionale, pare ormai a portata di mano. Ma a quale prezzo? Quello di aver indubbiamente avviato alla guarigione una delle malattie del nostro processo, la sua atavica lentezza, ma di averne aggravate altre, alle quali associazioni imprenditoriali, giornalisti, opinionisti, economisti non hanno prestato alcuna attenzione. Sull’importante riduzione del contenzioso civile che sta alla base del fenomeno, infatti, più che la proliferazione delle procedure alternative di risoluzione delle controversie, come la negoziazione assistita e la mediazione obbligatoria, ha influito il rilevante aggravio dei costi che il singolo utente deve sopportare per ricorrere alla giustizia (il contributo unificato, le sanzioni previste per il rigetto delle impugnazioni e le altre spese che, per molte specie di giudizi, si sono aggiunte all’imposta di registro). In tal modo si è creato un importante ostacolo all’accesso alla giustizia che, cosa ancor più grave, discrimina i cittadini in relazione alle loro possibilità economiche. Non solo. Se è facile misurare le prestazioni di un sistema giudiziario sulla base di parametri quantitativi come la durata dei giudizi, sarebbe molto più difficile (e costoso) valutarle in base a criteri qualitativi, come il contenuto delle sue decisioni. Un’analisi di questo genere, che io sappia, non l’ha mai fatta nessuno. Eppure è diffusa, tra i professionisti del diritto, la sensazione di un complessivo scadimento della qualità delle decisioni, e non solo di quelle di primo grado. Avere una sentenza in tempi rapidi è certo un diritto del cittadino, ma avere una “buona” sentenza non è un diritto meno importante. Anche perché la qualità delle decisioni di per sé stessa è suscettibile di ridurre il numero delle impugnazioni. Queste constatazioni sollevano una serie di problemi troppo complessi per essere liquidati in poche righe, ma dei quali l’opinione pubblica, apparentemente così “informata” sulle malattie nella nostra giustizia civile, è totalmente inconsapevole. Per capirlo bastano pochi esempi. Primo: ha poco senso lamentarsi della durata dei processi civili italiani, paragonandola a quella dei loro omologhi tedeschi (192 giorni nel 2014), se non si spiega che in Italia ci sono 11 giudici togati ogni 100.000 abitanti, mentre in Germania ce ne sono 24 (la media europea è di 18) e che, per i giudici onorari, ai 5 ogni 100.000 abitanti del nostro paese corrispondono i 120 della Germania (la media europea è di 38). Così come pochi sanno che le risorse che l’Italia destina alla giustizia sono l’1,3% del bilancio dello Stato, contro l’1,6% della Germania, l’1,8% della Francia (e il 3,9% dell’Olanda). Secondo: nessuno ha valutato il rapporto costi/benefici dell’abbandono (pressochè generalizzato) della regola della collegialità delle decisioni di primo grado decretato dalla riforma nel 1990 sotto il profilo della della qualità e coerenza delle decisioni di merito e sotto quello della formazione permanente dei magistrati. Nessuno si è mai chiesto se questa scelta non meriti di essere riconsiderata. Terzo: nessuno sembra considerare i riflessi della grave crisi dell’avvocatura italiana (indotta anche da non poche scelte legislative recenti) sulla qualità dei servizi legali che essa è in grado di offrire e che, a sua volta, influenza più di quanto non si creda la qualità delle decisioni giudiziarie. E chiunque pratica le aule giudiziarie potrebbe continuare a lungo, elencando temi e problemi importanti, ma perfettamente sconosciuti ai tanti medici che insistono nel prodigare le proprie cure al nostro malato, accampando competenze che forse non possiedono... Su questi temi non sarebbe forse giunta l’ora di dare la parola a chi li conosce davvero? Certo è che il panorama della nostra giustizia civile è oggi molto diverso da quello che era solo cinque anni fa, ma la percezione che ne ha la nostra opinione pubblica pare essere molto distante dalla sua realtà e dai suoi veri problemi.

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